
VRELO UNE 2007

Zrmanjin Zov '07 (di Gigi
Casati):
La Croazia è un appuntamento
consueto in questi ultimi anni, l’amicizia via via sempre più consolidata con
Tihi ed i membri del DDISKF ci permette di organizzare al meglio le esplorazioni
in questo incredibile paese.
Il giorno 21 luglio viene ufficialmente inaugurata la
spedizione Zrmanjin Zov ( Zrmanja è il nome di un canyon mentre Zov significa
visione) con un breve discorso da parte dell’organizzatore Tihi, l’inno
nazionale croato ed in seguito una allegra festa alla quale partecipano, oltre
agli speleosub, anche le autorità della zona.
Primo obbiettivo della spedizione è una sorgente nuova per
noi, ma esplorata qualche anno fa da un francese fino a –50m. Alla mattina del
22 luglio partiamo dal campo base situato in Obrovac, alla volta di Donja Suvaja
che dista a circa un’ora di macchina. Il percorso stradale offre suggestivi
paesaggi come del resto tutta la Croazia. Tra una curva e l’altra della strada
ci fermiamo a prestare soccorso ad un motociclista caduto che probabilmente, ha
una spalla fratturata. Non appena la nostra presenza diventa non sostanziale,
riprendiamo il cammino verso la nostra meta. Una volta arrivati, allestiamo il
campo avanzato nella proprietà di un allevatore di trote di nome Marco.
Scarichiamo le attrezzature, prepariamo il necessario per una prima ricognizione
in sicurezza e raggiungiamo il luogo dove è necessario lasciare le auto. Le
attrezzature sistemate dentro sacchi speleo, vengono prese in spalla da una
decina di forti speleologi che trasportano tutto fino alla sorgente Vrelo Une
che dista 15min. di marcia su di un sentiero che sale deciso per poi scendere
fino al lago. Intravedo il laghetto dalla fitta boscaglia: il colore blu crea un
forte contrasto con il verde della vegetazione, l’adrenalina inizia a salire
dentro di me: non vedo l’ora di esplorarlo.

Presso il laghetto, la parete
della montagna che si alza verticalmente per più di 100m si staglia contro il
cielo di un azzurro terso. Il laghetto ha una larghezza di circa 50m ed una
lunghezza di una ventina, la temperatura dell’acqua è di 9° e di primo acchito,
la visibilità non sembra male. Una volta terminati i lavori di preparazione
degli erogatori sulle bombole, che sistemeremo in acqua come supporto ad
eventuali emergenze quali anomalie nei nostri circuiti chiusi, arriva
l’operazione più attesa cioè indossare la muta ed il resto dell’attrezzatura. In
acqua oltre al sottoscritto, scenderà Alan con una videocamera per immortalare
la preparazione della grotta ed Alen che mi aiuterà a posizionare le bombole. Mi
occupo di risistemare il filo e le bombole di emergenza profonde, Alen mi segue
mettendo a –6m una bombola da 10 lt di ossigeno, a –21m una da 15 lt di nitrox
50/20 ed a –36m una 15 lt di nitrox 36/36; Alan mi gira intorno sfruttando i
momenti in cui mi fermo, per fissare il filo o per preparare dei nodi sui quali
fissare le bombole. A –50m lascio una 15 lt di 25/60 e da qui proseguo in
ambienti vergini: l’andamento della grotta è molto verticale, tronchi di alberi
fanno bella mostra di se creando suggestive figure, le pareti incredibilmente
erose, mi fanno pensare che un tempo questa sorgente fosse un inghiottitoio.
Raggiungo i –70m dove lascio una bombola da 20 lt di 20/70 ed Alan si ferma qui,
mentre io mi lascio cadere nel baratro.
Seguo una parete perché non
riesco a vedere la galleria in tutta la sua dimensione, la visibilità è di circa
6m con una roccia delle pareti abbastanza scura. Eccomi a –90m dove lascio
l’ultima bombola relè da 20 lt di 15/75 e tengo con me ancora una bombola da 20
lt ed una da 7 lt che alimenta il mio circuito chiuso; non sono ancora appagato,
quindi mi lascio sprofondare fino a –103m a 140m dall’ingresso, dove decido di
interrompere l’esplorazione lasciando lo svolgisagola appeso nel vuoto.
Sono passati 20’ quando,
iniziando a risalire, mi guardo in giro per cercare di capire quanto sia grossa
questa frattura che a spanne, mi sembra misurare circa 20-30m per 5-10m;
riemergo dopo poco meno di un’ora entusiasta per l’esperienza e non mi resta
altro da fare che ripristinare le attrezzature per domani.
Alla sera ricevo notizia che
Jean Jacques Bolanz, compagno di tante avventure, mi raggiungerà verso fine
mattina del 23 luglio mentre Alessandro, arriverà nel pomeriggio.
Rimaniamo solo Alen ed io mentre
tutto il gruppo di speleologi rientrano a Obrovac per dedicarsi ad altre
esplorazioni.
Una volta arrivato Jean Jacques,
andiamo alla sorgente dove voglio continuare l’esplorazione, ma una serie di
problemi ritardano la mia partenza. Si inizia con un problema ad un sensore
velocemente risolto prendendone in prestito uno da Jean Jacques, poi mi accorgo
che i fari Hid non funzionano perché ieri si erano allagati e non me ne ero
accorto, “dulcis in fundo” mi manca il raccordo tra il preservativo e la valvola
della muta stagna; non mi resta altro che limitare le ambizioni ed andare a
sistemare una corda da 7mm fino a –90m, sulla quale trasferire le bombole di
emergenza: mi impressiona l’idea di lasciarle appese nel vuoto sul cordino da
esplorazione di 2mm di diametro.

Il 24 luglio quando io riposo,
Jean Jacques si prepara per andare ad iniziare la topografia ma una idea mi
balena nella mente: propongo a Jean Jacques di scegliere tra la topografia e
continuare l’esplorazione. All’età di 67 anni Jean Jacques risponde con l’enfasi
di un adolescente e senza pensarci un secondo, sceglie l’esplorazione. Lo aiuto
perciò a sistemare l’attrezzatura, ed in compagnia di Alen ed Alessandro
trasportiamo i materiali alla sorgente.
Con la consueta calma Jean
Jacques si prepara, si mette in acqua e dopo qualche minuto scompare dalla
superficie. Alen che usa una muta umida si occupa di assisterlo durante la
decompressione, mentre Alessandro si immerge per ambientarsi nella grotta.
Jean Jacques riemerge dopo 160’
e con un’espressione felicissima mi comunica di essere arrivato a –123m, sul
fondo del pozzo e di essere rimasto senza le luci principali posizionate sul
casco, scopriamo poi che anche il suo canister si è allagato. A cena descrive
l’immersione, facendomi credere che la grotta cambi direzione e riprenda a
risalire.
Il 25 luglio, tocca di nuovo a
me continuare l’esplorazione, dopo una buona colazione raggiungiamo Vrelo Une
dove ci aspettano le attrezzature già pronte per l’immersione.
Senza un motivo particolare sono
meno concentrato del solito, ma quando entro in acqua, per terminare le
operazioni di vestizione, riesco in un attimo a raggiungere il massimo livello
di concentrazione. Con me oltre al circuito chiuso, alimentato da una bombola da
7 lt di 5/85, porto come sicurezza due bombole da 20 lt contenenti differenti
miscele, una 12/80 ed una 8/85. Una volta messa la testa sott’acqua, scendo
velocemente raggiungendo i –70 in 3’ ed i –123m in 5’; lo svolgisagola mi
aspetta su di un sasso all’inizio di una frattura che continua a scendere; per
un attimo ricordo della sera prima quando si parlava della prosecuzione, e mi
viene da sorridere; scendo osservando il più possibile la morfologia e
raggiungendo un tronco sul quale lego il filo, riprendo a scendere. Un altro
tronco dal diametro di 70cm circa, è posizionato di traverso nella frattura;
dato uno sguardo al profondimetro, sono a –150m, poiché mi sento bene, decido di
continuare la discesa. A –163m dopo aver percorso 230m dall’ingresso, lascio lo
svolgisagola alla base di un enorme masso e sono passati solo 10min. Con uno
sguardo intorno a me, vedo le pareti laterali di roccia compatta, sotto e di
fronte a me il vuoto e dove lascio lo svolgisagola, ci sono piccoli e grossi
sassi: data la forte pendenza, capisco che devo fare attenzione a non appoggiar
le pinne al fondo. Inizio a risalire. A –120m faccio un giretto in quella che
sembra una sala e dove il fondo è ricoperto di tronchi e rami impressionanti da
vedere, ma non voglio perdere del tempo per non accumulare minuti di
decompressione. Dopo un’ora dalla partenza, viene a farmi visita Alessandro che
mi porta una batteria per alimentare il giubbetto elettrico ed una borraccia
d’acqua arricchita con sali minerali. Alen viene a farmi visita alla seconda ora
e visto che tutto procede bene, rimane a farmi compagnia fino alla fine della
decompressione: riemergo dopo 147’e fuori una trentina di persone venute a
curiosare, mi sta aspettando per congratularsi.
Il 26 luglio Jean Jacques ed
Alessandro iniziano la topografia dalla profondità di – 58m fino all’ingresso
della grotta; Alen si dedica all’esplorazione di qualche piccola galleria nei
primi metri di profondità.

Il
27 luglio si continua la topografia fino alla profondità di 107m e si
controllano altre gallerie che purtroppo non danno risultati importanti.
Il 28 luglio, dopo due
interminabili giorni passati a guardare gli altri immergersi, sono pronto per un
nuovo tentativo d’esplorazione.
Arriviamo alla sorgente in
ritardo rispetto al solito cioè quasi a mezzogiorno. Ho preparato tutto dal
giorno prima ed ora devo solo verificare la taratura degli analizzatori ed
indossare l’attrezzatura.
Un
volta entrato in acqua, scendo a –6m per verificare i sensori, riemergo per
comunicare che tutto va bene, un saluto ed inizio ad attraversare il laghetto
per andare nel punto dove la verticale è massima. Prima di iniziare la discesa,
vuoto completamente i contropolmoni per eliminare l’ossigeno presente, apro la
valvola di scarico della muta ed inizio la veloce discesa. Arrivo a –40m in un
minuto, poi inizia un tratto dove devo pinneggiare per guadagnare profondità ed
eccomi a –70m; qui riesco a scendere verticalmente fino a –123m.:
mantengo in questo tratto la PpO2 a 0,6 per non ritrovarmi con troppo ossigeno
nella miscela e di conseguenza con la necessità di effettuare dei lavaggi nel
circuito chiuso. A questo punto porto la PpO2 a 1 e riprendo velocemente la
discesa. Utilizzo un diluente 3/90 e riesco a tenere sotto controllo la
PpO2 con facilità, anche se in alcuni tratti sono costretto a chiudere il flusso
di ossigeno. Sono spostato di qualche metro dal filo per poter osservare meglio
la frattura e per poter pinneggiare in tranquillità. In otto minuti raggiungo lo
svolgisagola a –163m. Sento il richiamo dell’ignoto gridare forte dentro di me,
ma mantenendolo sotto controllo, impugno lo svolgisagola, lo sblocco, mentre la
discesa continua sotto di me. Mi spingo con le pinne sul fondo per andar via
veloce ma questo mi costa caro perché do il via ad una frana: vedo il grosso
masso di fronte a me e temendo una sua caduta, mi sposto per qualche metro in
orizzontale nella frattura con lo svolgisagola ben saldo nella mano. L’argilla
sollevata dalla frana viene inghiottita dal fondo per cui decido di attendere,
rimanendo sospeso sopra il vuoto. Dopo tre lunghissimi minuti, quando sembra si
plachi l’ira dei sassi, sento tre inquietanti tonfi come se dei grossi massi
fossero atterrati su di una superficie piana. Scendo ancora con cautela ma, alla
profondità di –175m sono costretto a fermarmi: infatti sotto di me, una
impenetrabile nuvola di argilla mi aspetta; blocco lo svolgisagola e lo lascio
sospeso in mezzo alla frattura. Uno dei miei tre analizzatori si è
inspiegabilmente spento.
Quando
inizio la risalita sono passati 13’ed ho tempo tutta la decompressione per
pensare all’errore da me commesso, ma si sa che la fretta a volte rende ingenui
e predisposti a commettere banali errori. Ho il tempo anche, per annotare su di
una lavagnetta, le profondità esatte alla quale si trovano i tronchi ed altre
curiosità riguardanti l’ambiente. Una volta arrivato a circa –120m
l’analizzatore come per incanto si riaccende. I due speleosub di assistenza Alen
ed Alessandro sono come sempre puntuali ed efficienti durante tutta la
decompressione. Riemergo dopo 186’.
Il 29 luglio Jean Jacques si
prepara per l’esplorazione della sala a –120m ma una volta arrivati alla grotta,
ci attende una spiacevole sorpresa: la visibilità è ridotta a circa 50cm. In
questi giorni la portata dell’acqua è decisamente diminuita e le condizioni
metereologiche non sono variate: l’unica ipotesi plausibile di questo importante
cambiamento, è che la nube di argilla da me sollevata, sia risalita lentamente,
trasportata dalla corrente, fino alla superficie. Ovviamente nessuno si immerge
e la giornata viene occupata per riparare le attrezzature rotte durante queste
prime immersioni. Localizziamo e risolviamo il problema sui pacchi batterie,
sostituisco la batteria dell’analizzatore, verifico qualche erogatore, e
passiamo il resto della giornata a leggere o a scrivere il rapporto della
spedizione.

Il 30 luglio le condizioni sono
migliorate, la visibilità è ancora di soli 3m, ma sperando di avere una buona
visibilità il prossimo giorno per tentare la prosecuzione, senza rattristarci
troppo, andiamo al mare a rilassarci nuotando un pochino.
Il 31 luglio finalmente
dall’esterno poiché si intravede la bombola a –6m abbiamo buoni motivi per ben
sperare; nel frattempo i due giorni liberi ci hanno permesso di preparare al
meglio tutte le attrezzature.
Al mattino arriva Lorenzo che si
occuperà di scattare delle foto a partire dalla zona profonda verso i –120m. Il
cielo è nuvoloso e la temperatura dell’aria è di 10°: condizione perfetta per
indossare i pesanti sottomuta senza traspirare. La nuotata di ieri, oltre 4km,
mi ha dato una carica importante e mi sento in forma. Mentre mi preparo, ripasso
mentalmente i punti chiave della grotta, le operazioni da eseguire per prevedere
ogni movimento. Scenderò il più velocemente possibile e questa volta non voglio
commettere errori.

In
4’ arrivo a –123m e sono consapevole che devo controllare la velocità della
pinneggiata per evitare di aumentare la frequenza respiratoria; la visibilità in
questa zona, non più come i giorni scorsi, è circa 4m. Proseguo la discesa fino
a –163m tenendomi questa volta, lontano dalla base del fondo ed arrivo nel punto
verticale dove ritrovo lo svolgisagola sotto di me. Lo impugno mentre lo
straterello di fango che lo ricopre mi avvolge in una nuvola. Anche le pareti si
sono ricoperte da almeno mezzo centimetro di argilla pronta ad andare in
sospensione nell’acqua. Alla profondità di –180m vedo un altro tronco e penso a
quanto esso sia incredibilmente precipitato fin lì, dal momento che la frattura
non è completamente verticale. Proseguo la discesa ed a –190m intravedo il
fondo, un ripido scivolo di ghiaia sotto di me; mentre scendo ancora mi sposto
in diagonale per guadagnare profondità con il minimo sforzo. Mi si spegne un
analizzatore, ma questa volta ne ho montati quattro per essere più tranquillo;
vedo un ancoraggio che una volta raggiunto, non è adatto per annodare il filo,
scendo ancora qualche metro e finalmente trovo quello che fa per me.

Le
mie mani tremano, HPNS o paura, la mente è lucida. Decido di sfilare dagli
elastici il tronchesino, tagliare il filo, fare il nodo, sistemare lo
svolgisagola, di nuovo il tronchesino e risalire. Guardo il profondimetro solo
adesso e vedo che sono trascorsi 12’ e sono a –205m di profondità ad una
distanza di 290m. Le nuvolette di argilla che attraverso risalendo, creano
un’atmosfera surreale; come non pensare ancora ai tre tonfi, da me uditi la
scorsa immersione? Non è possibile sia questo il punto dove i massi sono
atterrati poiché, considerata la forte pendenza e la ghiaia, il rumore si
sarebbe attutito. “Chissà cosa c’è più sotto”. Prima sosta di un minuto a –160m
proprio sopra il grosso masso: ho tempo per osservarlo e noto che si tratta di
conglomerato; un crostaceo depigmentato con antenne lunghe, che sicuramente non
ha problemi di HPNS o di decompressione, viene a farmi visita. A –123m recupero
la bombola da 20 lt che avevo lasciato per le emergenze. Al venticinquesimo
minuto a –117m incontro Lorenzo: un deep-stop extra per catturare qualche
immagine, poi risaliamo lentamente documentando i punti più interessanti. In
risalita, recupero anche le altre due bombole da 20 tl da –90m e –70m e la corda
che le teneva. Proprio nel recuperare la corda credo di aver creato un
affaticamento agli avambracci per cui quando arrivo attorno ai 40m, inizio a
sentire qualche dolorino. Rallento la risalita per gestire il problema rimanendo
il più profondo possibile ed a –21m comunque rimango 30’ ad una PpO2 di 1.6, poi
il dolore svanisce. Vengo alleggerito dalle cinque bombole da 20 lt, bevo e
mangio fette di anguria, non mi manca nulla per passare una decompressione in
relax. Dopo 295’ riemergo felice e soddisfatto: le immersioni esplorative sono
finite.
Trasportiamo
alle macchine gran parte delle attrezzature lasciando nella grotta solo il
minimo indispensabile per terminarne il disegno e recuperare le attrezzature.

Sogno già il momento in cui, il
prossimo anno, tornerò a Vrelo Une, per tentare di continuare l’esplorazione in
profondità ma anche per vedere quanto larga sia quella intrigante frattura e
chissà, forse trovare il punto in cui sono atterrati i massi.
Participanti
: Alan Kovacevic (ricognizione preliminare fino a -55 e film), Alen Milosevic,
Alessandro Fantini, JJ Bolanz (topografia), Lorenzo Del Veneziano (foto), Luigi
Casati, e soprattutto Tihomir Kovacevic e il suo club, il DDISKF.

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