
SORGENTE DEL GORGAZZO 2008
Molti ricordi mi legano al
Gorgazzo partendo dalla mia prima visita a questa sorgente nell’ormai lontano
1987 quando, con un gruppo di subacquei di Lecco e dintorni, accompagnai durante
un fine settimana, Jean Jacques Bolanz da poco conosciuto, che desiderava
esplorare questa limpidissima sorgiva.
Fu la prima volta che vidi due
braccia e due gambe spuntare da un tri-bombola da 20 L, la prima volta che feci
assistenza ad un subacqueo che s’immergeva in miscela trimix per un’immersione
in miscela in grotta in Italia, la prima volta che vidi un uomo rimanere per 2h
e 55’ in acqua, raggiungendo la profondità di -108m in una grotta e la volta in
cui, di fronte al ristorante sulla piazza, Jean Jacques mi scelse.
Già, fu una scelta che segnò la
mia vita: finita l’immersione, sistemate le attrezzature nelle rispettive
autovetture, Jean Jacques chiese: -chi ha portato la bombola di sur-ox (miscela
iperossigenata) a -40 m?- un brivido mi percorse la schiena e non senza timore
risposi -io!-.
Mi fece i complimenti per come
la avevo sistemata, cioè con l’erogatore, un MarkV, fuori dall’elastico,
regolato per il minimo sforzo inspiratorio, pronto all’uso. Un “mostro” si era
complimentato con me, un piccolo subacqueo come tanti, abituato solo alle acque
del lago. Dopo aver mangiucchiato qualche cosa, prima di salutarci e ritornare
alle rispettive abitazioni, quando Jean Jacques chiese a Patrick di segnare il
mio numero di telefono e indirizzo, Patrick disse: -ho già il suo- riferendosi
ad un compagno del nostro gruppo: Jean Jacques, con la una testardaggine che
imparai poi a conoscere e sopportare con il tempo, ribadì -voglio il suo-
indicando me.
Da quel giorno le nostre forze
si unirono in una simbiosi che si perfezionò nel tempo, fino alla fatale
separazione nell’ottobre dello scorso anno, con il passaggio di Jean Jacques
all’esplorazione da cui non si torna. Sempre al Gorgazzo nel 1988, quando Jean
Jacques raggiunse i -117m, io in quell’occasione feci la mia prima immersione in
giclette (15% - 20% di elio).
L’immersione non andò nel
migliore dei modi: Jean Jacques dandomi il suo benestare per immergermi in
miscela, mi chiese se desiderassi farlo con un subacqueo appartenente ad un
gruppo della zona ma io, ormai abituato ad immergermi in solitaria, non accettai
la proposta; comunicata la mia decisione, affrettai le operazioni di vestizione,
per partire con qualche minuto d’anticipo rispetto all’altro. Una volta
raggiunta la profondità di -87m, la grotta prendeva un andamento orizzontale
(facendola in barba ai vari fantasiosi speleosub del momento che la disegnavano
verticale a -90m di profondità). Io andai per la mia strada seguendo il filo
posizionato da Jean Jacques nei giorni precedenti; raggiunto il pozzo che
portava a -100m prima di iniziare a scenderlo, notai il filo d’Arianna
allentarsi e venire da dietro di me e verso di me. -Porca miseria- pensai, -il
filo si è rotto ed a causa della tensione è partito come una molla verso l’altro
ancoraggio-. Iniziai un rientro celere e dopo poco mi ritrovai con il capo del
filo in mano: come cambia la grotta senza filo d’Arianna! Pur con una visibilità
di oltre venti metri, essa sembrava una prigione dalla quale non si può uscire.
Rimasi calmo e continuai per i pochi metri che mi separavano dal pozzo che
portava verso l’uscita ed eccolo fortunatamente, il filo che risaliva verso
l’uscita. Avendo ancora gas e perciò tempo, tentai di riannodare il filo ma non
riuscendoci perché troppo corto, ne presi un pezzo dal mio svolgisagola finché
finalmente riuscii a ricollegare i due fili. Il giorno seguente Jean Jacques non
avrebbe perso tempo prezioso passando da qui.
Una volta fuori, chiesi al
“compagno” d’immersione sceso dietro di me, cosa era successo, ed egli
candidamente mi rispose che arrivato con le pinne sul filo, lo aveva rotto, che
aveva sì tentato di riannodarlo ma, non essendoci riuscito ed avendo freddo, era
risalito.
Nel 1992, Jean Jacques si spinse
fino ai -131m di profondità mentre io esplorai un pozzo parallelo che da -90m
porta a –100m. Topografammo il sistema fino a -106m.
Per qualche anno non tornammo al
Gorgazzo e nel 1995, anno in cui avrei dovuto continuare io per un tratto
l’esplorazione, un temporale impedì il nostro tentativo. Costretti dalle avverse
condizioni meteo di mezza Europa, a rinunciare dapprima alla Romania poi al
Gorgazzo, andammo alla sorgente del Mulino a Castelcivita. Rientrammo al
Gorgazzo dopo una settimana dove, la mia campana trasparente per la
decompressione, aspettandoci, faceva bella mostra di sé a -6m. Arrivando pochi
chilometri dalla sorgente, l’ennesimo violento temporale scatenatosi sulle
nostre teste, ci fece capire che il momento giusto era sfumato: il giorno dopo,
dal bordo della vasca, osservammo il livello dell’acqua alzarsi a vista
d’occhio. Un’immersione per recuperare le attrezzature e di nuovo verso casa con
le pive nel sacco.
Nell’autunno del 1995, un
incidente mortale spinse le autorità a chiudere, con un’ordinanza comunale,
l’accesso alla sorgente.
Il Gorgazzo, dalle acque così
invitanti quando è in buona, aveva firmato l’inizio della nostra collaborazione
e della nostra incredibile amicizia e si collocava, nelle nostre menti, come
sogno in comune, ma il permesso di potervi ancora accedere, sembrava lontani
anni luce.
Nel 2007, per un concatenarsi di
circostanze, quando il permesso arrivò, ricordo di aver inviato un sms a Jean
Jacques che si trovava in Etiopia, con scritto: “Ho il permesso per immergermi
al Gorgazzo, che faccio?” E lui dall’Etiopia mi rispose: “Vai pure tu solo, ma
fai attenzione.”
Di nuovo, piogge e temporali si
applicarono per far rimandare l’appuntamento tanto atteso con la sorgente e nel
2008, quando mi riavviai verso di lei, mancava l’amico Jean Jacques che dal 1987
aveva portato avanti, senza rivali l’esplorazione della grotta.
Ho qualche anno in più anch’io,
ho aggiunto13kg di peso che allora non avevo, rivesto il ruolo di leader che mi
è nuovo solo perché manca il mio alter ego Jean Jacques e mi chiedo se ho
guadagnato anche un po’ di saggezza per tentare per l’ennesima volta, di varcare
e fin dove, l’ignoto di una delle più belle sorgenti europee.
Il giorno 11-01-08 il trio
formato da Claudio, Ignazio e da me, dopo un viaggio interrotto da numerose
soste, raggiunge Polcenigo, il piccolo Comune Friulano in provincia di Pordenone
nel cui territorio sgorgano le acque della sorgente del Gorgazzo. Sono già le
22.00 ma, prima ancora di andare a mangiare, ci affrettiamo verso la sorgente,
per gettare lo sguardo nelle limpide acque del laghetto circondato d’anatre e
oche: le condizioni sono ottime, poca acqua sgorga dalla madre terra.
All’interno del laghetto, illuminato dai fari, scorgiamo numerose grasse trote
di dimensioni “inquietanti” che elegantemente nuotano nel loro elemento
naturale.
Appagati dalla visione, ci
dirigiamo verso Dardago, al nostro albergo-ristorante “Allo Chalet” che dista
pochi chilometri dalla zona di nostro interesse. Le previsioni meteo non sono
delle migliori ed annunciano piogge per un paio di giorni. Verso la mezzanotte,
mentre andiamo in camera per riposare, ci accorgiamo che la pioggia sta
rovesciandosi copiosa sul tetto dell’albergo ed alla mattina, dopo una notte
resa insonne dalla preoccupazione per la quantità d’acqua che continua a
scendere, decidiamo di non scaricare il furgone e di andare a controllare le
condizioni della sorgente.
Come prevedevo, dopo solo 12
ore, il livello è aumentato notevolmente e sono quasi sicuro che non sia ancora
arrivato il grosso della piena. Trascorriamo sconsolati la giornata passando dal
bar al ristorante, poi di nuovo al bar della sorgente e la pioggia non cessa,
anzi aumenta d’intensità.
La domenica mattina sconsolati,
scendiamo a vedere cosa è successo alla sorgente ed ahimè il livello è veramente
alto, tanto alto che addirittura nel bosco, intorno alla sorgente, si sono
attivate le piccole sorgentine che s’innescano durante le piene, il livello del
laghetto esce dai suoi argini e l’acqua si è intorbidata. Non mi era mai
capitato di vedere il Gorgazzo con il livello così alto, anche perché la
sorgente è lontana da casa mia e quando ci recavamo da lei, si sceglievano i
periodi secchi. Rientriamo tutti a casa con le orecchie basse come quelle di un
cocker: la Madre Terra si è accordata con Urano per metterci i bastoni fra le
ruote.
Il primo di febbraio,
speranzosi, torniamo alla sorgente ma anche questa volta le previsioni indicano
piogge leggere e neve oltre i 800m di quota; il livello dell’acqua non è dei
migliori anzi, a me sembra un po’ alto ma sono passati molti anni e la memoria
potrebbe ingannarmi: proveremo ad immergerci.
Dopo aver preparato le
attrezzature, sabato 2 siamo pronti all’azione io e Mosé. Considerata la
corrente, è inutile organizzare tutta la squadra: verificheremo prima la
possibilità di superare la cosiddetta “finestra” cioè dove il passaggio si
stringe ed eventualmente, nel caso fosse possibile aver la meglio sulla
corrente, il resto del gruppo si attiverà per preparare il campo.
Mosè incaricato di effettuare
delle riprese, mi anticipa entrando in acqua per primo. A breve lo seguo e, dopo
aver preso la bombola da portare a -21m, mi lascio scivolare verso il fondo del
laghetto. Percepisco subito la corrente e capisco che probabilmente non
riusciremo nel nostro intento. Attacco il filo al basamento di cemento della
statua a -9m e proseguo ma, poco dopo, per la forza della corrente che è
sostenuta, mi devo tirare sui massi perché con la sola spinta delle pinne, non
riesco a contrastare la forza dell’acqua. Supero la finestra con qualche
trucchetto imparato giocando nei fiumi ed eccomi a -24m, dove la galleria è
leggermente più grande e quindi la corrente è minore. La mia pinneggiata rimane
tuttavia inutile perché spingo con forza e rimango sempre nello stesso punto. Mi
tiro sul fondo per qualche metro ancora pensando al divertimento in uscita,
quando la corrente mi spingerà verso l’esterno sparato come un tappo di
spumante. Mi giro e mi lascio andare trascinato dal flusso della corrente: la
sensazione è d’incredibile impotenza nei confronti di una forza terribilmente
superiore a quella umana e mentre le pareti scorrono velocemente di fianco a me,
eccomi alla base della finestra; le pinne fanno da timone per evitare di
sbattere, mi metto nel centro della galleria e con un paio di agili colpi di
reni eccomi fiondato nel laghetto: peccato sia già finito. Non siamo qui per
giocare e la consapevolezza che anche questa volta non sarà possibile tentare
l’esplorazione m’irrita un pochino tanto è che non mi concedo all’ignaro Mosè
che mi attende pazientemente all’ingresso della grotta.
Rimango qualche giorno con
Caramella, Cichita ed il Pifferaio a Polcenigo nella vana speranza di un
miglioramento, ma il tempo meteorologico non ci vuole favorire: martedì le
condizioni della sorgente peggiorano notevolmente e non ci resta altro da fare
che rientrare a casa per l’ennesima volta.
L’esplorazione del Gorgazzo è un
chiodo fisso, una meta da raggiungere, una conclusione dovuta. Siamo in ballo e
balliamo sperando che il giusto sereno freddo invernale si decida a non
ostacolarci. Domenica 10 febbraio per la terza volta nello stesso mese, siamo di
nuovo nella splendida Polcenigo, e forse, poiché l’inverno, che sembra ritornato
con il vento freddo del nord, ha riportato le temperature nelle medie del mese
di febbraio, lentamente il livello dell’acqua comincia a scendere.
Lunedì mattina, il Pifferaio ed
io c’incamminiamo verso la sorgente, mi accorgo subito che il livello è sceso,
rispetto al giorno precedente, di oltre un centimetro; le condizioni
meteorologiche sono stabili e le previsioni sono promettenti per tutta la
settimana. Sarà la volta buona? Decidiamo di aprire nuovamente le danze.
Come per la volta precedente, è
necessaria una prima ricognizione per valutare seriamente le condizioni. Prendo
con me due bombole da 15l, una d’ossigeno ed una di miscela al 50% di O2 e 20%
di He. Lascio a -9m la bombola d’ossigeno perché questo è il punto migliore per
tenere l’erogatore al riparo dalla ghiaia del laghetto, attacco il filo e via.
Scendendo verso la finestra mi accorgo che la corrente è minore ma ancora
fastidiosa; procedo fino a -25m per verificare se è possibile una continuazione
ed una volta certo della possibilità di proseguire, riemergo per comunicare al
Pifferaio di prepararsi all’immersione: i suoi compiti sono già stabiliti ed
egli mi passa le bombole da 20 l che porterò con me nella zona profonda. La
visibilità non è fra le migliori rispetto a quella che ci si potrebbe aspettare
al Gorgazzo, ma non mi posso lamentare perché riesco a vedere ad una decina di
metri di distanza con facilità. Ripercorro lentamente, mentre stendo il filo,
una parte della mia storia vedendo che in alcuni tratti ci sono ancora vecchi
pezzi di filo d’Arianna e la vecchia corda semidistrutta che raggiungeva la
profondità di –40 m.
I fossili sulle pareti, evocano
un tempo la cui distanza da noi è difficilmente immaginabile se consideriamo la
durata della vita umana e l’epoca in cui vivevano queste conchigliette: esse ora
sono lì a testimoniare un passato di “sessanta milioni” d’anni fa quando proprio
qui c’era il mare e c’erano le barriere coralline simili a quelle che oggi si
possono osservare raggiungendo paesi distanti diverse ore di aereo.
Riconosco il pozzo come fosse
stata solo ieri la mia ultima immersione; eppure sono passati 13 anni. In fondo
al pozzo, a -87m, vedo una targa attaccata con dei “maillon rapid”, ad un
cavetto d’acciaio: ricordo chi la ha messa e perché. Avanzo nella sala, in
leggera risalita, fino a raggiungere l’altro pozzo che scende fino a poco meno
di -100m. Ancoro il filo a -96m, appendo la bombola da 20 l e getto uno sguardo
nel nero di fronte a me. Di nuovo medito su quanto tempo è passato ma, essendo
di nuovo tornato, inutile perdere troppo tempo in quota; smetto di sognare ed
inizio a risalire. Mi fermo alla targa, la giro e leggo:
“qui perì
tragicamente Maurizio Martini d’anni 22
27 – 9 – 65
12 – 2 – 87
La posò Jean Jacques dopo aver
recuperato il corpo di Maurizio, un esuberante ragazzo triestino.
Risalgo sistemando il filo da me
prima frettolosamente posato: a -75m lascio, ben fissata al filo, la seconda
bombola da 20 l e continuo a risalire. Vedo a –30m, le luci del Pifferaio che
ha il compito di posare due bombole, una a -55m ed una a -36m.
Gli do una mano afferrando la
bombola da portare a -55m, riscendo fino a posarla su un pianerottolo nel ripido
pozzo, poi riprendo la decompressione. A -21m siamo insieme, poi io m’infilo
nella galleria laterale per evitare la corrente, gli segnalo un breve o.k. e lui
se ne riparte.
La decompressione nel laghetto,
in compagnia delle gigantesche trote grassottelle, trascorre velocemente,
impegnato come sono ad avvicinarle il più possibile invidiandone l’estrema
naturalezza con cui esse respirano. Dopo 85’ riemergo e trovo ad attendermi
oltre al Pifferaio, anche il caldo sole che invoglia a cambiare abiti.
Martedì 12, rimango solo a
vigilare l’acqua, ma non sono in forma perché un forte raffreddore con un po’ di
bronchite, m’impedisce di dormire con continuità. Terminati i preparativi sulle
attrezzature da utilizzare il giorno seguente, non posso far altro che rimanere
al calduccio ingoiando a piene mani vitamina C. Devo assolutamente rimettermi in
sesto! Alla sera mi raggiunge Patrick.
Mercoledì 13, nella mattinata
arriva Mosè con la fida telecamera. Prepariamo il maialino, che mi tirerà laggiù
dove, per ora, solo Jean Jacques è riuscito ad arrivare: a -131m partendo dai
-100m, dopo aver percorso una galleria lunga oltre 100m e fermandosi sulla cima
di un nuovo pozzo. L’attività è frenetica: Patrick scarica la macchina, Luca
finisce di sistemare le attrezzature ed io preparo il rebreather ed il maialino.
Si è fatto tardi ed anche se la
mia ora preferita d‘immersione è compresa tra le 11.30 e le 13.00, penso che
dovrei riuscire a partire in tempo. Raggiunta la vasca però, mi viene il dubbio
di non aver provato ad accendere il maialino e di non aver collegato
elettricamente il motore. Provo e, come previsto, non parte; chiedo ai miei
compagni una chiave a brugola per aprire il posteriore del propulsore ma nessuno
dei due ha la chiave corretta. In gran fretta torno al campo base che
fortunatamente dista solo pochi chilometri ed in breve tempo riesco ad essere di
nuovo alla sorgente. Apro il posteriore del maiale e vedo, come prevedevo, i
fili scollegati: in un attimo ripristino il contatto, chiudo il pezzo e
finalmente posso prepararmi per l’immersione.
Mosè è già in acqua da diversi
minuti prima di me per riprendere la vestizione, l’ingresso in acqua, nonché la
partenza. Benché io soffra ancora per i postumi della bronchite non del tutto
risolta, nonostante siano due notti che non dormo sereno, che preoccupazioni
varie mi tengono sulle spine, mi sento carico potendo ricordare una parte della
mia vita speleo-subacquea trascorsa in quest’incredibile sorgente.
Una volta infilata la testa in
acqua però, mi trasformo in una macchina, quasi senza sentimenti e programmata
per esplorare: con il maialino è semplice vincere la corrente anche se ho appese
su di me due bombole da 20 l ed una da 7 l; semino velocemente Mosè con il quale
ho appuntamento in decompressione tra 50 minuti ed eccomi sul pozzo: non è
facile scendere quasi verticalmente carico di bombole ed a cavallo di un
maialino! A -70m percepisco una perdita sulla bombola quella da sette litri: mi
fermo, ne chiudo il rubinetto poi lo riapro e tutto riprende magicamente a
funzionare correttamente. La sosta non mi ruba più di qualche secondo, un po’
più profondo verso i -87m urto con il casco contro il soffitto ed uffa! Avrei
potuto riflettere che il soffitto in quel punto si abbassa perché la galleria
risale un poco! Raggiungo il mio svolgisagola -96m, lo impugno e, sempre a
cavallo del maialino avanzo verso quel nero che da anni io sogno di illuminare.
Con un tuffo al cuore vedo che
nella galleria ci sono ancora le tracce del passaggio di Jean Jacques e
riconosco i suoi due fili stesi all’epoca, su cui ci sono dei segni
caratteristici che conosco molto bene. La galleria cambia forma, fino alla sala
Martini dove mi trovo in una condotta forzata dalle pareti ben levigate, la sala
dà i primi segnali di cambiamento, poi raggiungo il tratto quasi orizzontale
oltre i -100m, completamente frastagliato, con il fondo ricoperto da massi e da
argilla. Sulle pareti in diversi punti, osservo la stratificazione della roccia
e in alcuni punti la galleria è straordinariamente ricca di fossili. Le
dimensioni sono talmente ampie da attenuare l’impeto della corrente durante le
piene e da permettere al filo di non rompersi. Nel momento in cui il filo
diventa uno solo, ho superato i -117m, e dopo poco, eccomi al punto dove termina
l’esplorazione di Jean Jacques. Sono emozionato mentre mi fermo ad osservare il
suo ancoraggio ancora ben visibile: il filo gira intorno a due sassi formando un
triangolo la cui punta è rivolta verso l’uscita. incredibile! Nemmeno se lo
avesse fatto apposta, sarebbe riuscito cosi bene; anche la sua descrizione del
pozzo corrisponde a ciò che vedo pur essendoci ora solo pochi metri di
visibilità. Al tempo in cui venivamo insieme, trovare la visibilità inferiore ai
venti metri era raro.
Nelle sue note Jean Jacques
aveva scritto: ”effettuo la punta il primo gennaio 1992. Utilizzo una bombola da
10 l contenente un leggero surox per raggiungere i -42m. Inizierò a contare il
tempo di immersione dalla profondità di -42m. Prendo una bombola da 12 l
contente una miscela composta dal 35% di elio per arrivare a -90: la poserò di
fianco al 20 l di emergenza. Continuo l’immersione con un tribombola da 20 l di
trimix; nelle bombole c’è una percentuale variabile di elio compresa tra il 50%
e il 70%. Lo svolgisagola è sistemato a -110m pronto all’uso. Seguo il vecchio
filo posato nel 1987 fino al termine a -117m. Il vecchio svolgisagola italiano,
un’ex-prolunga elettrica, è ancora là: tenterò di recuperarlo al ritorno. Più
avanti, l’ignoto comincia con una galleria larga fra i 7m e 8m, alta fra i 4m e
5m, ingombra di blocchi, che continua a scendere in dolce pendenza. A -125m, la
galleria è sbarrata da alcuni blocchi in tutta la sua larghezza e sono obbligato
a risalire un poco. Oltre, c’è un superbo pozzo inclinato di 50°, di cui non
vedo il fondo, anche quando attacco il filo a -131m. Sul lato destro, distinguo
nettamente gli strati che seguono con lo stesso angolo il pozzo. Nel momento in
cui riprendo il cammino del ritorno, sono passati 15’ da quando ho lasciato i
-42m. Prendo gli azimut con la bussola 240°, 60° all’andata. Recupero il mio
vecchio svolgisagola ma l’elastico si rompe e lo perdo quasi subito. Sarà per la
prossima volta. Recupero il mio 12 l al passaggio e risalgo fino a -60m dove un
subacqueo di Pordenone ha lasciato un 12 l riempito d’aria. L’apro e constato di
nuovo che il primo stadio non è ben avvitato. Lo sistemo e vedo sull’orologio
che sono passati poco più di 20’ d’immersione. Dopo un paio di respirazioni,
l’erogatore diventa molto duro, praticamente si blocca: sgradevole non avere
aria sulla schiena. Riprendo dunque il 12 l con il trimix leggero, utilizzato
per la discesa e salgo fino a -50m per le prime tappe decompressive. Terminata
la tappa, vado a -42m dove prendo il doppio 10 l caricato con surox al 40% e
ridiscendo a fare la mia tappa a -45m. Le tappe decompressive si succedono nella
loro monotonia, ma non mi accorgo che trascorrono, completamente assorto dai
paesaggi che ho appena scoperto.
Da questo punto in avanti
l’esplorazione sarà mia anche se ogni metro che farò sarà un pensiero dedicato a
Jean Jacques. Lascio il maialino e poco oltre il termine di Jean Jacques, il
pozzo diventa verticale; sostituisco lo svolgisagola a -136m e lascio uno dei
due 20 l come soccorso per le prossime immersioni. Planando verticalmente, vedo
uno scalino sotto di me perciò mi sposto più in avanti verso il centro del
pozzo; pur non riuscendo a contemplarlo tutto, suppongo che il pozzo abbia un
diametro di almeno una decina di metri. Scendo giù, ancora un poco, fermandomi
su di un enorme masso, vi appoggio lo svolgisagola, lancio uno sguardo verso il
fondo scuro dove intravedo un altro scalino. Per il momento l’esplorazione è più
che sufficiente. Sono a -157m e sono trascorsi 20’ dalla partenza.
E’ tempo di risalire lungo quel
filo che ora vedo in perfetta verticale, mentre prima, in discesa lo percepivo
inclinato: è strano come differiscano le sensazioni fra quando si scende e
quando si sale! Al punto in cui ho sostituito lo svolgisagola, recupero quello
semi vuoto e vedendo la luce del faro, riagguanto il maialino per procedere
verso l’uscita. La prima tappa la faccio a –105m. dove ho giusto il tempo di
verificare ed organizzare la decompressione, poi raggiungo i –96m dove lascio la
mia bombola da 20 l. pronta ad essere ripresa alla prossima esplorazione.
Risalendo dal pozzo, ancora i ricordi si affacciano alla mia mente.
Durante le soste, la corrente è
fastidiosa solo in un paio di punti dove sono costretto a mettermi incollato
alla parete per rimanere tranquillo. Più sopra, ma sono già a -36m, appaiono le
luci della telecamera di Mosè, che mi fa compagnia anche se nella galleria c’è
poco da filmare viste le dimensioni. Più tardi, arriva anche Patrick con la
macchina fotografica e mi sento proprio rientrato nel consorzio umano mentre
anche lui si sbizzarrisce a scattare fotografie. Oltre a tutto questo, sono
servito di batteria per il riscaldamento e di beveraggio per l’idratazione.
Riemergo dopo 210’.
Caro Jean Jacques tu non ci sei,
non sei qui a sorridere fiero per il nostro risultato: un po’ di sana tristezza,
nel momento di felicità, mi cattura. Mi svesto e, con Patrick e Luca, vado a
bere una rilassante tisana calda.
Giovedì è una giornata di relax:
siamo Patrick ed io, che di mattino andiamo in piscina per un piccolo
allenamento e di pomeriggio, raggiunti dal Barbi, sistemiamo le attrezzature.
Per venerdì il programma era
un’immersione per girare delle immagini video ma, alla notizia che Ignazio
arriverà di mattino con un nuovo maialino con prestazioni migliori, cambio i
programmi e decido di scendere in esplorazione.
Tutto fila liscio, le
attrezzature sono pronte ed alle 11.00 si va alla sorgente dove siamo attesi
dalla squadra sommozzatori della Guardia di Finanza di Trieste. Si svolgono le
presentazioni rituali tra i membri dei due gruppi poi, tutti insieme si
trasportano le attrezzature sul bordo della sorgente. Sono costretto per
questioni documentarie, a “sottomettermi” ad un’intervista, ma il tempo scorre
velocemente ed anche se stranamente, la mia intervista sembra andare bene, si è
fatto tardino. Finalmente, libero dagli impegni ufficiali, mi preparo
velocemente ed entro in acqua alle ore 13.15. Sono un po’ teso perché non mi
sono concentrato a dovere e non mi sento bene in forma; ma il maialino non si fa
tanti problemi e mi guida velocemente fin verso il pozzo.
Durante la discesa s’innescano
due erogazioni continue sull’erogatore della bombola d’alimentazione del
circuito chiuso “ora è chiaro, quando esco
l’erogatore ha bisogno di una controllata” poco più sotto, mentre sono a testa
in giù, il filo d’Arianna mi s’impiglia nello stacca-batteria del maialino.
Sempre più nervoso arrivo a -96m dove prendo la bombola da 20 l. che utilizzerò
come sicurezza nell’immersione. Per un breve tratto sarò equipaggiato con tre
bombole da 20 l ed una da 7 l. Nel percorso orizzontale sembra andare tutto
bene: a -110m poso una bombola che rimarrà per il resto della spedizione, come
sicurezza.
Poco dopo, nuovamente m’impiglio
con un moschettone nel filo d’Arianna e pur sorgendomi qualche dubbio
sull’opportunità di procedere o di rientrare, preferisco continuare verso il
fondo. Eccomi a -131m, lascio il maialino attaccato all’asola del filo di Jean
Jacques ed inizio la discesa verso lo svolgisagola che, poiché in questi giorni
la visibilità è in via di miglioramento, senza fatica posso vedere già da
qualche metro di distanza. Quale emozione impugnarlo, sbloccare il rullo ed
indirizzarmi verso l’ignoto che mi aspetta, solo, in un ambiente che d’ostile ha
esclusivamente la mia capacità di gestire opportunamente la situazione. Oh forse
mi sbaglio?
La direzione è quella che avevo
già adocchiato: la grotta non si spiana come pensavo, ma scende con una forte
inclinazione; qualche metro più sotto, devo per un attimo pinneggiare per
spostarmi in orizzontale, ma poi di nuovo, inclinato, il tunnel ridiscende giù.
Fisso il filo su dei fossili attaccati alle pareti. Sono a -170m e mi guardo in
giro: il pozzo ha un diametro di almeno 15m, non sono in grado di fare una stima
più precisa, ma posso farcela a scendere ancora un pochino.
Che impressione vedere più
avanti la roccia del fondo interrompersi di netto ed oltre quella linea
naturale, solo il nero, quell’inquietante nero che mi attira! Ora che sono
sospeso nell’acqua con sotto di me il nulla, mi lascio cadere un po’ verso il
fondo, mentre la mia respirazione non va molto bene. Preso dalla foga di
recuperare il tempo perso, in discesa ho pinneggiato troppo veloce per arrivare
fino a qui: in questa situazione non posso far altro che arrestarmi ma, prima di
risalire, fisso il filo su uno spuntone della roccia, blocco lo svolgisagola e
lo lascio a penzoloni pochi centimetri sotto il nodo.
Dal termine esplorativo di Jean
Jacques a qui, ho percorso quasi ottanta metri. Risalgo ammirando le pareti
incrostate di fossili, mi concentro per rallentare il respiro muovendomi
lentamente e, alla profondità di -160m, avverto un forte dolore sul muscolo
pettorale sinistro che mi provoca un po’ di fastidio nel respirare mentre io non
sono in grado di darne una spiegazione. La risalita procede lentamente finché
vedo in alto, la luce che ho lasciata accesa sul maialino; risalgo in verticale
mantenendomi a qualche metro dalla parete, per godermi le forme del pozzo; ora
vedo il maialino, mi avvicino e mi accorgo che non sta nel punto dove l’avevo
lasciato: probabilmente mentre aprivo il moschettone per attaccarlo al filo in
tutta fretta, si è sfilato il cordino di sicurezza ed il risultato è che il
moschettone sta sull’asola ed il maialino a circa due metri di distanza, sta
appoggiato sul fondo. Per fortuna, avendo un assetto leggermente negativo, il
maialino è rimasto sul posto. Certo che se fosse stato positivo, probabilmente
la corrente lo avrebbe fatto risalire senza di me oppure, al contrario, se fosse
stato più negativo, lo avrei visto scendere in picchiata ed esplorare
autonomamente la profondità del pozzo prima di me.
Per oggi ne ho avute abbastanza
mi dico mentre rientro giocherellando tra i fili, tirato dalla forza del motore
del maialino: le soste decompressive mi permettono di osservare quantità enormi
di fossili; a -96m, per comodità, decido di lasciare insieme alla bombola
d’emergenza, le mie due compagne d’avventura da 20 l. Risalito il pozzetto,
entro nella sala Martini poi, di nuovo, alla base del pozzo che mi porterà fino
a -21m. Trascorsi 75 minuti, appaiono sopra di me le luci del Barbi e del
Pifferaio. Il Barbi riprende la deco, mentre il Pifferaio si occupa
dell’organizzazione delle luci e di farmi assistenza. Nel piccolo ambiente,
tutte queste persone, le attrezzature, l’effetto della corrente, creano un po’
di confusione. Arrivo a -21m e dopo pochi attimi un’altra spiacevole novità:
sento un bruciore circoscritto nella zona bassa della schiena, in aumento
deciso. Che fare, non lo so ma in meno che non si dica, mi tiro sulla roccia
fino a -36m: nessuno dei due compagni, ha avuto il tempo di rendersi conto di
niente. Quando li vedo arrivare da me dopo almeno un minuto, poiché il bruciore
non accenna a diminuire ma addirittura aumenta, una lampadina si accende nella
mia testolina. Scollego il giubbetto elettrico e scrivo al Pifferaio che mi
passa la lavagnetta, “mi brucia il sedere, non capisco, ma forse”. Aspetto un
attimo e già il bruciore è sparito; “forse è proprio il giubbetto elettrico”.
Riprendo la risalita e del bruciore nessuna traccia. Mi rassereno anche se mi
tocca rimanere in acqua senza il conforto del calore del giubbetto. Mi consolerò
con del thé caldo durante il resto della decompressione.
Solo poco prima di riemergere,
provo a ricollegare il giubbetto e sembra che funzioni tutto bene: chissà che
diavolo era successo. Non ho osato ristabilire prima il collegamento, perché
sarebbe stato sconveniente leggere sul giornale: “speleosub alla griglia termina
l’immersione assistito da trote”.
Dopo 280’ riemergo soddisfatto
per il risultato finale ma non per come si è svolta l’immersione.
Sabato, ancora deluso di me
stesso, un po’ controvoglia m’immergo per permettere al Barbi di sbizzarrirsi
con la telecamera, mentre Caramella si occupa delle luci. Al nostro trio si
aggrega Mosè con la sua telecamera cosicché per me, il compito diventa arduo
perché andare avanti ed indietro, continuamente accecato dai potenti fari, non è
facile; gradualmente la situazione comincia a divertirmi finché, preso da un
momento d’euforia, riesco a fare un tonneau quasi completo con il maialino:
esaurite luci e nastri, non ci resta che riemergere.
Alla sera arriva il super
fotografo Roberto Rinaldi; con lui, dopo aver predisposto l’immersione per il
giorno dopo, ci deliziamo per le sue immagini scattate in giro per il globo
terracqueo, nelle quali si sviluppa la meraviglia di giganteschi squali tigre,
nautili, mante.
La domenica mattina, dopo
qualche foto nei pressi della sorgente con lo staff del Lota Lota venuto a farci
visita, plouf! Si è di nuovo in acqua. L’obiettivo è scendere a -100m, con
Roberto che porta due foto-camere e si sbizzarrisce a scattare foto mentre io
eseguo un primo prelievo di fossili a questa quota. Una volta riempito il mio
sacco, risaliamo assieme fino alla sala Martini dove, mentre Roberto fotografa
gli strati di calcare, io gironzolo in compagnia di una custodia per sfruttare
tutti i flash a nostra disposizione. Risalendo nel pozzo, Roberto scatta su ogni
cambio di morfologia; a circa -40m ci viene in contro Mosè con la telecamera
approfitta per riprendere la nostra risalita. Tornati nel laghetto, il Pifferaio
gentilmente porta fuori le due macchine fotografiche, cambia la pellicola e ne
riporta una in acqua per completare l’opera.
Preso da un attimo di goliardia,
chiedo a Roberto di scambiarci i ruoli, cosicché mi ritrovo l’ingombrante
macchina fotografica in mano, così sconosciuta da non saper nemmeno dove
schiacciare per scattare: edotto da Roberto, mi ritrovo a testa in giù mentre mi
applico all’opera. Emergendo dalle gelide acque, respiriamo una certa aria di
festa che si materializza in un tavolino apparecchiato con formaggio, salame
nostrano, vino e chi più ne ha più ne metta...
Lunedì con il Pifferaio, rivedo
le attrezzature e preparo il maialino con montata la telecamera di Mosè compresa
dei due fari da 150W. Così acconciato esso ha una forma certamente strana, tale
da sembrare un chopper: domani lo metteremo in acqua e vedremo come correggere
l’assetto. Una lampadina dei fari è bruciata, ma il giro tra i fotografi della
zona, compresa Pordenone, si conclude con un buco nell’acqua: aspetteremo Josè
al bar della sorgente.
Martedì è una giornata
stranamente a rilento: impiego del tempo per ritornare ad Aviano e poi a
Pordenone per trovare la famosa lampadina. Arrivato alla sorgente ormai dopo
mezzogiorno, trovo Josè giustamente al caldo nel bar.
Montato il faro, finalmente i
300W dell’impianto luci si fanno notare anche al sole. Verifico che la camera
funzioni ma, una nuova sorpresa mi aspetta: la batteria è scarica. Sconsolato
ritorno velocemente al rifugio per prendere la batteria di scorta.
Finalmente caliamo il maialino
in acqua ed iniziamo a rivestirlo di galleggianti: il suo gigantesco
pacco-batterie è molto negativo per cui, pur utilizzando tutti i galleggianti
che ho a disposizione, il maialino è ancora negativo anche se di poco.
Sono costretto a farmi prestare
una maschera da Josè perché la mia è rimasta al rifugio: sono già le 14.30
quando entro in acqua.
Il maialino che utilizzo è di
quelli a traino, più lento rispetto agli altri ma, comodo per trasportare la
telecamera. Raggiunto il tratto di galleria orizzontale, considerata la
negatività anteriore del propulsore, metto la leva in posizione “on” e mi
attacco ai bracci dei fari, dirigendolo come se fosse un maialino da cavalcare.
È più semplice dirigerlo in questo modo, perché riesco a bilanciarlo facilmente
e grazie alla velocità che vista la mole del mezzo è talmente bassa, la guida
rimane sicura. Considerata la relativa poca visibilità e la velocità di
percorrenza di questa galleria con l’altro propulsore, oggi mi accorgo che,
grazie ai fari da 300W riesco ad osservare diverse diramazioni. Raggiungo il
pozzo a -130m, gli giro sopra tentando di inquadrare il baratro, poi rientro
sull’ancoraggio di Jean Jacques. Poco più avanti mi fermo per recuperare i
fossili, e per fare ciò scelgo un punto non troppo ricco dove, con il martello,
rompere la roccia. Di fronte a me, la corrente trasporta della sospensione
fangosa dentro una galleria sprovvista di filo che chissà dove andrà. Riprendo
la mia strada seguendo il filo e dopo qualche metro mi trovo in una zona dove i
fossili sono così numerosi, da ricoprire completamente le pareti; -che sfortuna-
mi dico, ma sarebbe bastato memorizzare il punto all’andata.
Sono passati quasi 30’, i fari
tengono ancora bene ed io oriento il muso del maiale nei punti dove mi sembra ci
sia qualche cosa. Seguendo la parete destra, a -108m quasi m’imbuco in una
galleria senza filo; mi fermo, mi dirigo a sinistra sul filo ben visibile che
dista un paio di metri da me, avanzo una quindicina di metri e, sempre alla mia
destra scorgo una galleria, che deve essere quella segnata da Jean Jacques sullo
schizzo della parte profonda: in sostanza, dal pozzo parallelo che parte alla
fine della sala Martini ai -130m, ci sono altri due by-pass. Riprendo la
risalita poi, verso i -50m interrompo il lavoro perché qui ha già ripreso Mosè e
la visibilità, con la sospensione creata da me sul fondo, non è molto buona.
Mercoledì è giorno di relax ed
una volta rimesse in sesto le attrezzature, siamo liberi di dedicarci ad altro.
Giovedì mattina mi sveglio con
la tuba dell’orecchio destro completamente bloccata dal catarro. Rimando perché
spero in un miglioramento. Per accelerare il mio recupero, oltre ad usare spray
nasali di vari tipi, provo con un sistema naturale, cioè mi reco a Pordenone in
un centro termale e trascorro il pomeriggio in un bagno turco: il caldo umido
porta beneficio tanto è che, la sera, mi sento decisamente meglio.
Venerdì mi sento benino, le
previsioni meteorologiche prevedono ancora tempo stabile quindi le condizioni
della sorgente non varieranno. Siamo soli Josè ed io, e posso procrastinare di
un giorno l’immersione. Così mi curo: Aviano in piscina dove nuoto per oltre
quattro chilometri, dopo una pizza e di pomeriggio via a sudare nel bagno turco.
L’umore si abbassa: pensieri negativi affollano la mente, tanto è che la sera
progetto di recuperare le attrezzature dalla grotta senza tentare una nuova
esplorazione.
Venerdì sera tardi arrivano ”Ol
gomista” e “Ol fiorista” due componenti del Lota Lota Sub desiderosi di dare una
mano.
Sabato mattina il gruppo
aumenta: siamo raggiunti da Mosè e signora con mascotte al seguito la Petra (un
cane rottweiler femmina), da Caramella e da Sergio. Pur non avendo ancora
chiaro, cosa deciderò, le attrezzature per l’immersione sono sufficienti per una
punta. Non vorrei giungere a -136m dove c’é da recuperare la bombola di
emergenza, con la voglia di continuare e di non poterlo fare per la mancanza di
un’adeguata ridondanza in circuito aperto. Alla sorgente mi accorgo subito che
la portata dell’acqua è ancora diminuita e che la visibilità è migliorata. Gigi,
il gestore del bar nei pressi della sorgente, mi chiede le intenzioni. Rispondo
che suppongo di recuperare tutto ma deciderò solo quando raggiungerò il posto:
non sono in gran forma né fisica né spirituale.
Mi accordo con Mosè per le
riprese nel pozzo, con Josè e Caramella per l’assistenza: appuntamento dopo 60’
con Mosè e dopo 90’ con Josè; Caramella si occuperà del resto della deco a
seconda di cosa combinerò in acqua.
Chi mi circonda si accorge che
non sono tanto brillante ma le motivazioni richiestemi, non posso darle perché
sono confuse a me per primo.
Collocato in acqua il maiale,
sul quale ho sistemato una sacca ed un martello per il recupero di qualche
fossile dalle zone profonde, inizio a cambiarmi. Dentro di me riaffiora piano la
voglia di andare più lontano, più profondo, di vedere oltre, la curiosità si fa
strada: piccole riparazioni alla pinna ed al computer prima di entrare e poi,
due passi in avanti e splash, sono in acqua.
Dal bordo mi passano la bombola
da 20 l che alimenterà il mio reb, collego la frusta all’apparecchio, accendo le
torce, agguanto il maialino, lo infilo sotto le gambe mi porto in mezzo al
laghetto: con una semi capovolta sparisco dalla superficie dell’acqua. A -6m
verifico gli analizzatori: tutto va bene. Mentre avanzo compensando un po’ più
sovente del solito, apprezzo che la visibilità non ancora delle migliori, sia al
momento, sicuramente degna della fama del Gorgazzo. Scendo lentamente a causa
delle continue compensazioni, ma tutto il resto procede perfettamente ed arrivo
a -96m dopo 5’. Raccolgo la bombola d’emergenza per la zona profonda, depositata
sul posto da qualche giorno, per verificare il funzionamento del suo erogatore:
tutto bene. Procedo verso il basso determinato all’80% a voler fare
l’esplorazione. Arrivando lungo al pozzo, devo ritornare un paio di metri per
lasciare il maiale; uno sguardo al nero sotto di me, mi permette di risolvermi,
in un batter di ciglia, di continuare. La prendo con calma e scendo diritto nel
vuoto tenendo il filo sulla mia sinistra osservando le pareti che mi circondano.
Per un attimo non vedo più il filo poi, devio con un colpo di pinna, la mia
caduta libera verso sinistra e lo ritrovo. Sono a -150m: vedo il masso sul quale
il filo è fissato; da quel punto, devo andare verso destra e, sempre aiutato dal
mio sistema di propulsione cambio la direzione. A -165m c’è un breve tratto
quasi orizzontale di una decina di metri giungendo a mezz’acqua, in una sala che
fa bella mostra sulle pareti, di numerose stratificazioni di roccia: credo di
trovarmi in una zona d’incrocio di faglie. Gli strati sono posizionati
perpendicolarmente tra loro ed io posso osservarli tranquillamente mentre mi
lascio cadere verso lo svolgisagola. Già il mio svolgisagola, da giorni
rinchiuso nel buio della grotta nell’attesa di continuare a svolgere il suo
filo; lo vedo da 10m di distanza e questo mi permette di rendermi conto ancora
una volta, che la visibilità è notevolmente migliorata; scorgo anche le pareti
del pozzo distanti da me una ventina di metri. Giunto a -189m sono al limite
della mia esplorazione precedente ma ora è facile superarlo: sblocco lo
svolgisagola e giù seguendo le pareti ricche di fossili.
Dopo una decina di metri,
intravedo il fondo, pinneggio orizzontale in una galleria di quindici metri per
dieci. Bel posto questo, dove sono finito! Quale emozione! Lo sguardo al
computer legge -204m: mi sento bene e non risento di nessun tremore,
probabilmente perché le immersioni di questi ultimi giorni hanno contribuito a
formare una base d’allenamento. Tenendo sotto controllo la pressione parziale
dell’ossigeno del mio circuito chiuso a 1 bar, osservo un analizzatore che si
spegne ed, a –212m, decido di rientrare. Non trovo punti d’ancoraggio nelle
vicinanze perché il pavimento è tutto liscio e la pendenza è di almeno 50°. A
pochi metri da me c’è il bordo di un altro pozzo: -cosa darei per andarlo a
vedere! Maledetti analizzatori!- Lascio lo svolgisagola sul fondo ma non riesco
a bloccare il filo perché l’elastico di sicurezza si rompe, eseguo perciò un
nodo barcaiolo sulla manopola ed inizio a risalire. Leggendo la distanza sulle
etichette del mio filo, verifico che sono 115m, che sommati ai 5m stesi
dall’altro svolgisagola ed a quelli precedenti, portano ad un totale
d’esplorazione lineare a 440m dall’ingresso, ed a un totale di 606m di gallerie
allagate.
Risalendo, sono estasiato da
questo percorso, mostro di bellezza con fossili straordinari che fuoriescono
dalle lisce pareti e dai soffitti; mi propongo di tornare un giorno per filmarli
insieme alla galleria e, perché no, di scendere ancora un po’ laggiù. Questa è
l’immersione migliore tra quelle che ho fatto a profondità elevate e tutto è
andato perfettamente, sia per la gestione del respiro che per le attrezzature:
peccato per l’analizzatore.
A -150m, mi fermo un paio di
minuti per guardare il computer: dai -212m sono passati 25minuti.
A -130m, dopo aver raccolto tre
bombole da 20 l, salto in groppa al maialino. A -124m, mi fermo per staccare
qualche fossile, fra cui uno notevolmente bello poi, interrompo per non creare
problemi alle braccia: metto via tutto e mi avvio alle successive tappe di
decompressione. A -110m, recupero una bombola da 20 l così siamo a quattro; a
-96m ecco la quinta aggregarsi al gruppo; a -70m non posso far altro che
attaccarmi la sesta bombola da 20 l ed iniziare a risalire il pozzo tenendo
sempre il maialino in mezzo alle gambe. Dopo 70’ ecco le luci di Mosè illuminare
il cammino dall’alto: scrivo sulla lavagnetta il risultato, lo vedo esultare e
riprendere a filmare la risalita. A -24m, nel breve tratto orizzontale, deposito
tutto il malloppo e finalmente scarico dal peso delle bombole, riprendo la
risalita, libero dalla massa di materiali che mi costringeva. Sono a -21m quando
arriva anche Josè che mi passa le batterie e da bere mentre io scrivo dove si
trova il materiale. Ci separiamo perché io devo aspettare qualche ora prima di
uscire e lo vedrò ripassare. Mosè non cessa di accecarmi per filmare particolari
importanti per il montaggio del video. Josè ritorna con tutto: il maiale, sette
bombole da 20 l, una da 15 l, più la sua da 12 l. Un bell’ ”accrocco” da filmare
per Mosé. Caramella compare quando mancano ancora 90’ di decompressione, con la
batteria da sostituire, il tè caldo anche troppo, da raffreddare per qualche
minuto nelle acque a 11° della sorgente.
Gironzolando tra i massi e le
trote della vasca, vedo apparire un timido gambero d’acqua dolce, che una volta
resosi conto del potenziale nemico, rientra in casa sua.
I minuti trascorrono e la mia
deco procede senza intoppi, cosicché emergo dopo 280’ dalla partenza.
Galleggiando pigramente sull’acqua e guardando il cielo sopra di me, ricordo
Jean Jacques, le nostre esplorazioni, le avventure: sono solo adesso, ma non per
questo calerà la passione che mi ha trasmesso e condiviso durante gli anni
trascorsi insieme.
Questo è il nuovo Profilo
della Grotta:

Ad oggi il Gorgazzo è la
più profonda sorgente esplorata italiana
Partecipanti:
Alessandro Fantini ( Pifferaio )
Claudio Carnello ( Caramella )
Ignazio Zoda
Josè Lamblelet
Luca Pedrali ( Mosè )
Patrick Deriaz
Roberto Barbierato ( Barbi )
Roberto Rinaldi
Luigi Casati (Gigi)
Un ringraziamento a:
Comune di Polcenigo
(PN)
Lota Lota Sub
Nucleo Sommozzatori del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza -
Trieste