
GROTTE DE MOTIERS - Giugno 2008
Dopo aver trascorso un paio di
divertenti giorni al Congresso di Speleologia Subacquea di Saint Nazaire en
Royans, mi trasferisco in Svizzera per provare l’esplorazione del secondo sifone
nella Grotta di Motiers.
E’ lunedì 2 giugno ed il tempo
mi vola via mentre, valutandole, preparo le attrezzature più adatte da
trasportare all’interno della grotta e le sistemo adeguatamente nelle sacche
speleo: non siamo in molti e la scelta si basa sul minimo necessario, ma
assolutamente tutto l’indispensabile.
Faccio un giretto dagli amici
mentre attendo l’ora d’incontro con i portatori.
Alle 17.00, sono al parcheggio
nei pressi della grotta e, nel giro di qualche minuto, tutti gli speleo che
dovranno aiutare, arrivano puntuali al punto d’incontro. Saluti e presentazioni,
poi c’incamminiamo verso la grotta che dista cinque minuti dal punto in cui
abbiamo posteggiato le autovetture. Un breve tratto di pianura, ancora qualche
decina di metri di ripido sentiero ed ecco siamo ai piedi di una stupenda
cascata, alla cui sinistra sta l’ingresso della grotta. Sul masso che delimita
l’ingresso, è posta una targa in memoria di Jean Jacques Rousseau che, nel 1762
dopo aver pubblicato due libri i cui testi contrastavano la religione, banditi
perciò sia dalla Francia sia dalla città di Ginevra, fu costretto a fuggire per
evitare l’arresto e si fermò a Motiers. Pare che trascorresse le giornate a
scrivere, seduto ai piedi della cascata.
Una grotta che conserva
un’atmosfera di suggestione storica al di là della sua importanza geologica in
questo massiccio calcareo. Motiers è una grotta e per arrivare ad infilarsi
nelle sue viscere di acque sifonanti, dobbiamo percorrere una parte aerea, di
circa mezzo chilometro. Abbiamo ciascuno un sacco sulla schiena contenente le
bombole, gli erogatori, lo svolgisagola, le luci, ecc., e procediamo nell’ampia
galleria, dapprima in leggera risalita poi lungo un tratto orizzontale e di
nuovo, oltre una prima strettoia attraverso la quale io riesco a passare a
malapena con il mio circuito chiuso Copis sulla schiena, aiutandoci con una
corda con nodi, risaliamo una paretina. Un tratto orizzontale ed un secondo
restringimento: stavolta sono costretto a togliere il Copis dalle spalle e
chiedere aiuto per farlo passare oltre. Un breve tratto ancora ed arriviamo al
“lago del fango” una galleria di una trentina di metri il cui fango profondo sta
in agguato per inghiottire stivali, calze, guanti e qualsiasi altra cosa cada ai
malcapitati che vi si avventurano. Avanzando, esito per un attimo nello spostare
i piedi e sono subito inghiottito fino alle ginocchia dall’argilla che contrasta
l’estrazione del piede con il relativo stivale. Già, lo stivale non è nemmeno
della mia misura ma di un numero più grande e questo non mi facilita le cose.
Finalmente riesco ad indietreggiare un paio di metri ed a togliermi da questa
spiacevole situazione. Il Copis sulla schiena non agevola la marcia, perciò
decido di attraversare la galleria passando dal lato opposto che mi sembra più
“solido”. Questa decisione è azzeccata. Raggiungiamo il sifone: il laghetto
calmo aspetta qualcuno che lo increspi, la forma è invitante e l’acqua sembra
limpida ma lo scivolo d’accesso è ricoperto d’argilla che, non è difficile
immaginare, annullerà la visibilità non appena entrerò in acqua. Preparo tutte
le attrezzature pronte all’uso per l’immersione programmata per il giorno dopo,
così da perdere meno tempo prezioso possibile. Tolgo le protezioni dai singoli
pezzi per poterli assemblare insieme, facendo ben attenzione a non sporcare
d’argilla né l’interno del rubinetto, né il primo stadio degli erogatori. Quando
esamino il rebreather, il Copis, vedo che non si presenta molto bene poiché
anche lui è pieno d’argilla in ogni parte. Accoppio le due bombole d’ossigeno e
trimix, eseguo tutti i test per verificare che durante il trasporto non si sia
rotto nulla. Sono soddisfatto perché sono riuscito tenere tutte le attrezzature
necessarie per un’immersione profonda in solo otto sacche, una per ognuno di noi
anche se non tutte d’ugual peso: in totale abbiamo portato due bombole da 20 lt.,
una da 15 lt., due da 10lt. e due da 3lt., i relativi erogatori, lo svolgisagola
per la progressione e per la sicurezza, altre luci e piccoli accessori.
E’ tempo di tornare ed il
viaggio di ritorno è molto più rapido perché non abbiamo più nulla da
trasportare.
Questa grotta fu esplorata da
Jean Jacques Bolanz nel lontano 1985 fino alla profondità di -102m. All’epoca,
le immersioni in circuito aperto erano certamente più faticose poiché alla fine
dell’immersione, occorreva riportare fuori tutte le bombole per poterle
ricaricare: oggi, con i circuiti chiusi, è sufficiente sostituire il filtro e
due bomboline da 3 lt.. Tempo dopo, quando Jean Jacques desiderò continuare
quest’esplorazione sia con i circuiti semichiusi Recy che con il chiuso Voyager
diversi motivi sopravvenuti, non glielo permisero ora tocca a me che seguirò il
suo filo.
All’uscita dalla grotta,
scendiamo al fiume per un risciacquo totale delle attrezzature e per una sosta
per bere una birra d’amicizia e di solidarietà.
Martedì ci sono da portare solo
la muta ed i caldi sottomuta per l’immersione e siamo solo in tre. In pochi e
leggeri andiamo veloci. Arrivati al sifone però, un’amara sorpresa ci aspetta,
perché il livello dell’acqua è più alto di circa 1,5m.
Patrick sa che, se l’acqua
dovesse alzarsi ancora un po’, potrebbe chiudere il passaggio stretto, il più
basso della grotta, imprigionandoci all’interno; inoltre le previsioni meteo per
i giorni seguenti, non annunciano sole, ma acqua a catinelle; decidiamo che farò
un’unica immersione di ricognizione.
Stendo a terra un telo che
servirà per appoggiare i piedi in un posto pulito, mi preparo per benino e
quando sono pronto, scendo verso l’acqua: qualche passo nell’argilla che mi
risucchia i piedi e poi mi lascio scivolare nello specchio d’acqua. Josè mi
passa le pinne e le bombole relè cosicché in un attimo posso scomparire sotto la
superficie. Ho tre bombole con diversi gas: un venti litri contenente una
miscela 13% d’ossigeno e 80% d’elio e due dieci litri caricati diversamente; in
una di loro c’è una miscela 35% d’ossigeno e 35% d’elio e nell’altra, ossigeno
puro. Ho scelto i gas in base alle dimensioni delle bombole per essere più
agevole e rapido in immersione.
Inizio la progressione stendendo
un nuovo filo che servirà in seguito per la topografia. La visibilità non è
buona: da zero nei primi metri fino a circa un metro e mezzo per tutto il resto
della progressione. All’interno delle gallerie, le rocce sono ricoperte
d’argilla e per fortuna che sto usando un circuito chiuso perché diversamente,
con un circuito aperto, l’argilla presente sul soffitto mi potrebbe a dir poco
ricoprire.
Il primo sifone scende
gradualmente fino alla profondità di -30m, qualche metro in orizzontale e poi
inizia a risalire quasi verticalmente fino a raggiungere la superficie dopo
circa 160m.
In questo tipo di grotta è
comodo tentare l’esplorazione quando il livello dell’acqua è alto, in modo tale
di evitare, arrivando alla fine del primo sifone, di essere costretti ad
arrampicare all’asciutto con tutta l’attrezzatura addosso, per accedere al
secondo sifone. In quest’occasione però, d’acqua ce né troppa anche se la
progressione rimane agevolata.
Mi ritrovo perciò comodamente
nel secondo sifone superando a -3m il punto di minore profondità: la grotta
cambia morfologia e “voilà” una frattura che scende con una forte pendenza.
Seguo il vecchio filo di Jean Jacques ma, a circa -30m, esso abbandona la zona
larga per infilarsi in una stretta: lo seguo per qualche metro e, accorgendomi
che non mi è possibile seguirlo in un passaggio troppo angusto, faccio
retromarcia per saggiare un cunicolo che ho visto più basso e che mi sembra più
accessibile. Una volta ritrovato il passaggio agevole, scendo ed avanzo senza
difficoltà. Più avanti ritrovo il filo e continuo a seguirlo fino a circa -43m
dove risalgo per un paio di metri; trovando un nuovo restringimento, devo
fissare in punti opportuni il filo perché, in una frattura di questo tipo, se
non lo sistemo più che bene, potrei avere spiacevoli sorprese al ritorno.
Superato anche quest’ostacolo,
la progressione diventa più semplice nella frattura che ora ha generose
dimensioni cosicché, raggiungo velocemente la profondità di -61m. Decido di
fermarmi lì, a 290m dall’ingresso: taglio il filo, lasciando una coda lunga una
cinquantina di centimetri da riannodare con semplicità la prossima volta; vedo
sul computer che sono trascorsi 30’ ed inizio a risalire. Non conoscendo molto
bene il regime idrico di questa grotta, non posso fidarmi nel rimanere troppo
all’interno quindi, anche se per quanto riguarda la sicurezza d’autonomia per
respirare, potrei continuare ancora, il limite di un’immersione è determinato
anche da circostanze inalienabili come quelle meteorologiche.
Una volta raggiunto il primo
sifone, pulisco un po’ il percorso togliendo oltre 150m di vecchi fili. Dopo
un’ora d’immersione riemergo nell’ormai torbido laghetto iniziale, passo in
consegna le attrezzature e fuori dall’acqua, analizziamo il futuro
dell’esplorazione. Secondo l’illuminato parere di Patrick è meglio rinviare di
qualche giorno ed attendere che le condizioni meteorologiche si stabilizzino.
Non mi tolgo nemmeno il Copis
dalla schiena e, mentre Josè e Patrick preparano i sacchi con il materiale da
portare fuori, io riposo seduto in un angolo fangoso. Il freddo accumulato in
immersione, la temperatura dell’acqua è di 7°, si fa sentire, scuotendomi con
improvvisi brividi, mentre aspetto che tutto sia pronto per il rientro. Poco
male, penso: non appena inizierò a camminare nella galleria con il Copis in
spalla, mi scalderò velocemente. Al ritorno, infatti, come per magia il freddo
si trasforma in calduccio, poi in caldo ed infine, dopo essere riuscito a
superare tutti i restringimenti con il mio Copis indossato, mi ritrovo bagnato
di sudore.
La cascata gelida fuori della
grotta, è ottima per una prima sciacquata alle attrezzature poi, con l’acqua del
fiume ed un’energica spazzolata, si toglie definitivamente il cumulo d’argilla
raccolta al ritorno.
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Il materiale pronto per il trasporto
Foto: Patrick Deriaz |
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L'agevole galleria
Foto: Patrick Deriaz |
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L'agevole galleria si restringe un pochino
Foto: Patrick Deriaz |
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Il punto più stretto da noi percorso
Foto: Patrick Deriaz |
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Il Copis dopo il trasporto
Foto: Patrick Deriaz |
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...ecco il sifone
Foto: Patrick Deriaz |
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Una chiacchierata prima di rientrare
Foto: Patrick Deriaz |
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Chissà cosa stanno guardando...
Foto: Patrick Deriaz |
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Come non guardare una cascata come questa?
Foto: Patrick Deriaz |
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Il percorso di avvicinamento
Foto: Patrick Deriaz |
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Oggi siamo solo in tre
Foto: Patrick Deriaz |
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Percorso aereo nella grotta
Foto: Patrick Deriaz |
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Attraversamento veloce del lago di fango
Foto: Patrick Deriaz |
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Si sistemano i dettagli
Foto: Patrick Deriaz |
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Il Copis leggermente infangato
Foto: Patrick Deriaz |
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Un telo di plastica per proteggersi dal fango
Foto: Patrick Deriaz |
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La vestizione procede
Foto: Patrick Deriaz |
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Un piccolo aiutino
Foto: Patrick Deriaz |
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Ultime sistemazioni
Foto: Patrick Deriaz |
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La discesa al sifone
Foto: Patrick Deriaz |
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La partenza nel sifone
Foto: Patrick Deriaz |
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Il rientro nella cioccolata fredda
Foto: Patrick Deriaz |
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Iniziamo il trasporto delle attrezzature verso l’uscita
Foto: Patrick Deriaz |
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Il faticoso lago di argilla
Foto: Patrick Deriaz |
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Una piccola discesa in parete
Foto: Patrick Deriaz |
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Ancora un passo e...
Foto: Patrick Deriaz |
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Ingresso della strettoia
Foto: Patrick Deriaz |
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Ingresso della strettoia visto dall’interno
Foto: Patrick Deriaz |
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Uscita della strettoia
Foto: Patrick Deriaz |
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Secondo restringimento
Foto: Patrick Deriaz |
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Anche questa superata con il Copis in spalla
Foto: Patrick Deriaz |
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Una risalita
Foto: Patrick Deriaz |
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Ecco la luce del sole che non c’è
Foto: Patrick Deriaz |
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Una meritata doccia
Foto: Patrick Deriaz |
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La posizione non è delle più comode
Foto: Patrick Deriaz |
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Josè non ne può approfittare
Foto: Patrick Deriaz |
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Continuo indisturbato la pulizia delle attrezzature
Foto: Patrick Deriaz |
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L’acqua del torrente è gelida
Foto: Patrick Deriaz |
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Nel fiume a terminare i lavori di pulizia delle attrezzature
Foto: Patrick Deriaz |
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