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SORGENTE DEI BOSSI 2005

 

Da anni il sogno di ritornare nel secondo sifone e nelle parti aeree della sorgente dei Bossi, mi tormentava.
Avrei dovuto affrontare questa esplorazione in compagnia di Jaques Brasey (Tom Pouce) ma purtroppo prima di unire le nostre forze, il destino ha separato le nostre strade.

A quell’epoca (1992-93) Jean Jacques non se la sentì di superare il sifone, si limitò ad esplorare la strettoia sul fondo, mentre io con Jean Louis Camous andammo oltre il sifone ed io riuscii a mettere le pinne nel secondo sifone: in quella occasione sperimentai una arrampicatina in libera di una ventina di metri di dislivello, sul pozzo che sovrasta lo specchio d’acqua all’interno della montagna.

Nel 2004 tentai in solitaria di continuare nel secondo sifone, il vecchio filo non c’era quasi più e dopo aver percorso una ventina di metri di galleria, come già nel ‘93 mi trovai a cercar faticosamente di superare una strettoia, concludendo poi di non aver scelto l’attrezzatura più idonea. Pensai che di aver preso una bella lezione da ricordare per il futuro tentativo.

Nel 2005 un incontro con Stefano, un amico che lavora all’Istituto Scienze della Terra del cantone Ticino, risuscita il mio interesse mai spento per la Bossi e ci accordiamo con il direttore Dott. Silvio Seno per una esplorazione a scopo scientifico/esplorativo oltre il primo sifone.In pochi anni l’evoluzione delle tecniche e dei materiali hanno notevolmente ridotto i rischi e i tempi di percorrenza ed il tentativo è decisamente più alla facile.

Stavolta Jean Jacques è disposto ad attraversare il sifone per farmi sicura mentre arrampico, Roberto verrà a filmare fin oltre il sifone, Lorenzo si occuperà delle foto fin oltre il restringimento a -89, Stefano e Flavio si occuperanno della assistenza e gradito ospite sarà il fotografo Matthias.

Il tutto si svolgerà tra il 2 e il 5 di maggio confidando nel tempo clemente.

Lunedì 2, Roberto ed io siamo in ritardo sulla tabella di marcia e sicuramente non saremo i primi ad arrivare alla sorgente. Lorenzo lo incontreremo alla frontiera di Chiasso, mentre con Jean Jacques Stefano e Flavio ci troveremo sul posto.
Eccoci davanti alla sorgente alle 11 del mattino, subito rimproverati dai “puntualissimi” ticinesi: ci affrettiamo a scaricare la macchina e ci organizziamo per preparare le nostre bombole decompressive e d’emergenza e le bombole di progressione per chi utilizza del circuito aperto.
Siamo in sei di cui Stefano e Flavio in circuito aperto, Jean Jacques con un circuito semichiuso passivo Recy01, Lorenzo con un CCR Buddy Ispiration, io e Roberto con un CCR Voyager.
Stefano e Flavio si occupano di portare a -6 una bombola da 10l e una da 7 di EAN80 a -12m e a -21m 2 bombole da 15l, 1 da 20l, 1 da 15l e 3 da 7l.
Io mi occupo di spostare una bombola da 15l che giace a -21m, oltre la strettoia a -89m; al ritorno trovo Roberto alla sua prima immersione nella Bossi che, nella strettoia stessa, sta riprendendo l’ambiente. Risaliamo insieme e incontriamo a -80m Lorenzo che scatta foto; Jean Jacques, solo soletto, scende a dare un’occhiata al passaggio a -89m.

Martedì 3 siamo pronti ad andare oltre il sifone in tre: Jean Jacques, Roberto ed io. Con me porto un sacco con due bombole da 4l per l’immersione nel secondo sifone, Jean Jacques porta un sacco con due bombole decompressive, un 4l di miscela iperossigenata e un 2l di O2, mentre Roberto si porta la videocamera che, guardandola criticamente, ha tutti i pregi tranne quello di essere compatta.

Lorenzo scatterà foto del nostro passaggio nella prima parte della galleria fino a -70m, Flavio porterà da -21m a -70m la bombola da 20l e da -21m a -50m la sua bombola di soccorso, mentre Stefano ci farà visita in decompressione.
Il passaggio nella zona fonda è rapido: Roberto riesce a girare delle immagini, mentre prendo la bombola lasciata ieri in risalita a -80m per trasportarla fino a circa -40m.. Roberto mi segnala che il suo VR3 si è spento in acqua per cui faremo decompressione insieme con il mio, visto che abbiamo fatto la stessa immersione.
Le riprese penso, saranno buone, considerato che, con i circuiti chiusi non emettiamo bolle e le poche che siamo costretti a fare in risalita non creano molti danni alla visibilità. L’unica zona dove purtroppo questa si riduce, è a -33m, ma subito dopo, sarà perché la galleria cambia direzione, anche la visibilità migliora nettamente.

Sui due bivi che incontriamo, lascio degli elastici per far capire a Jean Jacques quale filo seguire. Nell’ultimo tratto di galleria, il peggiore per quanto riguarda la visibilità, riusciamo a passare velocemente senza intorbidire molto e dopo 55’ riemergiamo.
Rapidi ci spogliamo e non appena abbiamo tolto i circuiti anche Jean Jacques emerge: chiudiamo i rubinetti delle bombole, sistemiamo tutti i piccoli materiali in una zona sicura, lontano dalla pozza d’acqua che, dopo che ci siamo spogliati, camminando sul fango del fondo, non ha niente da invidiare al caffelatte.
Con calma ci guardiamo in giro, ed a memoria, descrivo quel poco di grotta che non si vede e che già conosco. Mentre si chiacchiera, apro il mio sacco per togliere i materiali e preparare l’immersione nel secondo sifone e, tanto per dare una bella notizia, annuncio di aver dimenticato l’imbragatura per sistemarmi le bombole sui fianchi. Rimugino su come fare con il materiale che abbiamo a disposizione, ma conoscendo il sifone, tirate le somme, decido di rinviare l’immersione a giovedì.
A questo punto non ci resta altro che andare a vedere il pozzo che si apre sopra il laghetto: salgo per primo, mi segue subito dietro Jean Jacques e poi, dopo una breve opera di convincimento, anche Roberto il meno abituato ai percorsi speleologici. Raggiunto il punto dove anni fa ero già salito discuto con Jean Jacques sulla prosecuzione dell’arrampicata: non sarà difficile da affrontare con trapano e corde.
Siamo in anticipo e quindi rimaniamo a chiacchierare un pochino prima di rientrare, in maniera tale da arrivare puntuali all’appuntamento decompressivo. Roberto ed io siamo i primi a ripartire, impiegando un po’ di tempo durante la discesa per girare le riprese tanto che Jean Jacques ci raggiunge subito dopo il passaggio profondo: si innesca la “corsa” per chi arriva primo nelle zone iniziali strette.
Le deco sono diverse e quindi Jean Jacques ci supera salutandoci con la manona; subito dopo tocca a me risuperare Jean Jacques salutandolo, mentre Roberto divertito, ci osserva.
Stefano ci viene incontro e, dopo essersi rassicurato che tutto procede bene, se ne va a sistemare le sue bombole. Eccoci a -21m e nuovamente Jean Jacques torna in vantaggio; imbroglio un pochino in deco e supero la strettoia a -12m per primo; a questo punto non mi lascio più superare anche se Jean Jacques tenta il sorpasso, spingendomi. Riemergiamo dopo 55’.

Mercoledì 4, giornata di riposo, ci troviamo verso le 10 del mattino alla sorgente, aspettando l‘arrivo della emittente televisiva TSI, (televisione della svizzera italiana) che, dopo aver letto il comunicato stampa, si è interessata per intervistarci.
Arriva dapprima il direttore dell’Istituto Scienze della Terra Dott. Silvio Seno, poi ecco arrivare i tecnici e la giornalista; pochi minuti dopo arriva anche l’emittente televisiva di Lugano, una radio locale e diversi giornalisti e fotografi.
Dopo aver dialogato con tutti gli interessati, verso le 11,30 vado in acqua con Lorenzo per scattare le foto nel passaggio sul fondo. Jean Jacques non si immerge, Roberto ci aspetterà attorno ai -60m per girare altre riprese, mentre Stefano più tardi andrà a fare un giro nella zona fonda e Flavio farà assistenza a Matthias per fare delle foto nei primi metri della galleria.
Parto 5’ dopo Matthias e Flavio mi fermo nel punto concordato dove vengo accecato da una serie di lampi. Finita la pellicola, i due fotografi escono ed io rimango ad aspettare Lorenzo che arriva dopo qualche minuto. Scendiamo lentamente verso il fondo scattando delle fotografie, a circa -80m noto sul soffitto nascosto da una cengia, una piccola frattura che risale verticalmente; “evviva” urlo nel boccaglio, un nuovo passaggio da esplorare. Scendiamo sul fondo, sosto prima di entrare nella strettoia, lascio il tempo a Lorenzo di scattare qualche foto, poi entriamo e la superiamo: con la apparecchiatura digitale gli scatti si sprecano, ed al ritorno rimango in coda. All’uscita della strettoia, incontriamo Stefano con cui scambiamo un paio di battute gesticolate e poi Lorenzo ed io risaliamo. A -60 ecco Roberto che illumina a giorno con i suoi fari la galleria. Sommando i fari di Lorenzo e di Roberto, ci sono accesi circa 1000W di potenza: questo mi permette di osservare la galleria come non mi era mai capitato. Riemergiamo dopo 85’ soddisfatti per il lavoro di documentazione eseguito.
Alla sera Lorenzo è costretto a rientrare a casa per questioni di lavoro, mentre noi prepariamo i bidoni stagni per trasportare oltre il sifone i materiali necessari per l’esplorazione.

Giovedì 5 raggiungiamo la sorgente verso le 10,30, tariamo di nuovo i sensori dei circuiti chiusi, mettiamo in assetto neutro i due grossi bidoni e prendiamo gli ultimi accordi con Stefano e Flavio.
Purtroppo stavolta non è facile stabilire un’ora precisa di rientro, perchè non ho una minima idea di quando tempo saremo impegnati oltre sifone. Lascio detto che staremo via almeno 4-5 ore, e per sapere quando venire ad alleggerirci, basterà osservare le poche bolle che costretti ad emettere in risalita, raggiungeranno la superficie dell’acqua.
E’ tutto pronto: verso mezzogiorno ci prepariamo ed entriamo in acqua: Roberto porterà la video camera e la macchina fotografica, io porterò i due grossi sacchi, e Jean Jacques porterà un sacco vuoto. Roberto mi aspetta oltre la strettoia a -12m e riprende il momento in cui prendo i sacchi e li attacco su di me. Un ok e si inizia la discesa; pinneggio in maniera sostenuta per mantenere una discreta andatura, anche se i due sacchi fanno molto attrito e mi rallentano. Arrivo alla prima sosta deco, aspetto un minutino e vedo arrivare Roberto poi, sempre più su fino ad arrivare nell’ultimo tratto di galleria rimasto torbido dal nostro passaggio di due giorni fa. Riemergo dopo 45’ e dopo poco ecco Roberto: non appena tolte le attrezzature, ecco Jean Jacques.
Una volta spogliati delle ingombranti e pesanti attrezzature, decidiamo il da farsi: prima l’immersione nel secondo sifone e poi l’arrampicata.
Trasporto i due pesanti bidoni nella galleria che si apre sopra il lago arrampicando in libera i facili 10m verticali. Apro i bidoni e tolgo le attrezzature che mi servono. Indosso l’imbrago costruito pazientemente da Philippe Bigear (Bibige), tolgo i faretti dal casco, e lascio solo le due torce a led; utilizzo le pinne corte di Roberto, più pratiche negli ambienti stretti, indosso le bombole utilizzando una tecnica simile a quella “all’inglese” ma decisamente più pratica perché mi permette di sganciare facilmente le bombole dall’imbragatura. Tengo lo svolgisagola in mano, un controllo sugli erogatori e ancor prima di immergermi ho un’inspiegabile erogazione continua sul Cyclon; chiudo la bombola, smuovo un poco la levetta del secondo stadio e all’apertura della bombola tutto è perfetto. Non sono più abituato ad immergermi in circuito aperto ed il pensiero dell’autonomia limitata delle due piccole bombole non mi piace: comunque sono ormai pronto all’immersione.
Dopo pochi metri, trovo il filo da me steso qualche mese fa rotto: attacco il filo nuovo ed avanzo velocemente fino a raggiungere il punto più stretto; lo supero con facilità, avanzo per 5m di nuova esplorazione finchè mi ritrovo a pochi metri da una frana. Decido di fermarmi perché mi trovo davanti altre due strettoie e la continuazione non sembra chiara. Poiché l’acqua inizia ad intorbidirsi, fisso il filo ed inizio il rientro. Mi incastro nella strettoia, ma dopo aver spostato il casco ed una bombola riesco a passare: riemergo dopo pochi minuti. Descrivo brevemente l’immersione e risaliamo il pozzo fino al punto più comodo per cambiarci.
Decidiamo che è suonata la pausa pranzo e poiché con noi abbiamo pane, formaggio, noccioline e acqua ci diamo ai bagordi. Dopo si torna al dovere.
Indosso un imbrago, scarponcini da montagna, il mio casco da speleologia che per l’occasione ha sostituito il più confortevole ma decisamente meno sicuro casco da immersione, corda, trapano, martello, chiave, fix e tutto il necessario per arrampicare.
Inizio a risalire il pozzo: i primi 5m sono facili, poi altri 5m. Continuo senza mettermi in sicura; verso i 15m di altezza mi ritrovo sul passaggio più delicato per cui mi fermo a pensare ed a osservare come superarlo; dal basso sento Jean Jacques che mi chiede se “ce n’est pas l’heure de planter un spit”. A questa sua richiesta i bachi del cervello iniziano ad agitarsi: sono in una zona non molto comoda ma trovo un buon punto per piantare il fix dopo aver assaggiato con il martello la roccia. Trapano, foro, fix, piastrina, moschettone e corda: il gioco è fatto. Scendo per andare a mettere un ancoraggio alla base del pozzo e permettere a Jean Jacques di farmi sicura visto che non si è ancora messo l’imbraco. Di nuovo su: raggiunto il passaggio delicato, lo affronto con determinazione superandolo,; salgo altri 5m e quando vedo che sulla destra la galleria non prosegue, un po’ di demoralizzazione mi assale. Rimane sempre la parte a sinistra, coperta da una cengia, da esplorare.
Continuo ed ecco che, dopo altri 5m, il pozzo termina in una saletta di qualche metro di larghezza. Urlo a Jean Jacques di cambiarsi e di raggiungermi non appena avrò messo in sicura la risalita su corda. Mentre lo aspetto, osservo la saletta e vedo bianche concrezioni, chiamate spaghetti per la loro forma, che scendono dal soffitto. Sono felicissimo: Jean Jacques mi raggiunge ed insieme ci avviamo nella galleria. Le sue dimensioni non superano i 3X5m: dopo un centinaio di metri ci fermiamo di fronte ad un bivio, scegliendo di andare a sinistra ma, dopo una ventina di metri, ci troviamo una strettoia, che ci obbliga a strisciare contorcendoci per superarla. Seguiamo la galleria più grossa evitando per ora di entrare nelle gallerie più strette, anche se, ogni tanto, ci troviamo a strisciare fortunatamente su del fango asciutto. Le concrezioni si sprecano sia in quantità che in bellezza: spaghetti alti 1,8m con un diametro di 4-5mm, eccentriche ed addirittura una colata di calcite bianca. Non abbiamo avendo portato con noi trapano e corda ci fermiamo su di una arrampicata di qualche metro molto fangosa. Siamo soddisfatti; al ritorno proviamo a stimare la distanza da noi percorsa: circa 300m di gallerie su un dislivello in risalita di 100m.
Cercare uno spazio dove organizzare un campo per dormire ma non troviamo nulla di comodo, quindi, per la prossima volta, faremo di nuovo una toccata e fuga sicuramente più lunga di questa. Raggiungiamo Roberto che pazientemente ci ha aspettato alla base del pozzo: quali e quanti pensieri saranno passati nella sua mente! La progressione speleologica è ancora una novità per lui.
Ci cambiamo velocemente, riposizioniamo i bidoni nei sacchi, scendiamo all’acqua e ci prepariamo per l’immersione di ritorno.
Il mio compito non è ancora finito, perché devo mettere della fluorescina nel secondo sifone. Questa azione fatto mi preoccupa perché questa sostanza, una volta sciolta nell’acqua, riduce la visibilità a zero e non vorrei impregnare del prodotto la muta, invalidando tutta la prova.

Roberto parte per primo con un polsino rotto, mentre Jean Jacques che, scendendo il primo pozzetto è scivolato, parte con un taglio di circa 3cm. sulla muta in zona natica destra (non vorrei essere al suo posto). Lo osservo mentre cerca di prepararsi fuori dall’acqua per evitare il bidè ma, alla fine, vedo che si risolve a prendere il suo sacco e a partire così com’è. Poi tocca a me: metto la fluorescina nel secondo sifone e rapidamente lascio il posto. La visibilità comunque si è ridotta a 50cm per l’argilla; percorro i primi 50m di galleria lentamente considerato che sono carico come un mulo, poi la situazione migliora. Qualche cosa nei miei bidoni non funziona perchè uno sta diventando sempre più pesante. A -40m mi fermo a recuperare la bombola da 15l: ormai sono sicuro che nel bidone sta entrando acqua e devo sbrigarmi se voglio riuscire a portarlo fuori.

Scendo velocemente tentando di frenare la caduta, compensando muta, gav e i sacchi polmone del circuito; raggiungo la strettoia sul fondo, la supero facendo rotolare il bidone ormai pieno di acqua davanti a me. All’uscita, mi armo di pazienza e lo trattengo con le mani gonfiando all’inverosimile la muta. Inizio a risalire spingendo con tutta la forza che mi resta con le pinne. A -70m recupero anche la bombola da 20l; poiché sono quasi in affanno, lavoro di Bypass per reintegrare l’ossigeno che consumo a volontà. Inizio a sentire dei dolori alle dita della mano sinistra che trattiene il sacco ormai pesante 20kg circa per cui non mi resta altro da fare che cambiare mano per alleggerire la tensione muscolare e la situazione migliora. A – 27m incontro Stefano al quale passo il bidone rilassandomi finalmente e riprendendo a respirare normalmente. Allungo leggermente le tappe per compensare lo sforzo dell’immersione, ma a -12m inizio ad avere dei dolori agli avambracci.
Passo tutto il mio materiale a Flavio. Non mi resta altro che risalire lentamente utilizzando come decompressimetro il dolore negli avambracci. Riemergo una ventina di minuti dopo gli altri: fuori è buio, perché ormai sono le nove di sera: respiro ancora ossigeno dal mio circuito per qualche minuto e poi si iniziano le operazioni di carico delle auto. Finalmente alle 23.00 mettiamo le zampette sotto il tavolo per sbafarci una squisita ed abbondante raclette……

Partecipanti:
Flavio Luzzi. (Svizzera)
Jean Jacques Bolanz (Svizzera)
Lorenzo del Veneziano (Italia)
Luigi Casati (Italia)
Matthias Blaettler (Svizzera)
Roberto Delaide (Italia)
Stefano Beatrizotti (Svizzera)

Si ringraziano:
Azienda Industriale di Lugano
Comune di Arogno
Istituto Scienze della Terra
Il giornale del Popolo

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